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Emerging Markets: cosa sono?

Quando ho iniziato a interessarmi di investimenti, la parola “mercati emergenti” mi sembrava quasi un’etichetta esotica. Un gruppo di Paesi lontani di cui leggevo qualche notizia sui giornali ma che nel concreto erano difficili da capire. Poi, studiando e iniziando a investire in prima persona, mi sono reso conto che dietro quella definizione ci sono storie molto diverse che a volte si intrecciano ma che non si possono mai ridurre ad un’unica narrazione.
In questi anni ho vissuto da osservatore e piccolo investitore uno dei periodi più strani per i mercati globali. Il 2022 e il 2023 sono stati due anni un po' particolari: inflazione alle stelle, banche centrali che hanno alzato i tassi e conseguenze che si sono fatte sentire ovunque, anche sugli emergenti. Un dollaro troppo forte ha reso la vita complicata a tanti paesi che devono pagare debiti in valuta estera. Non serve un manuale per capirlo: basta immaginarsi di avere un mutuo in dollari quando lo stipendio è in una valuta che si indebolisce ogni giorno.
Arrivati al 2025 lo scenario è meno teso ma non meno complesso. L’inflazione si è raffreddata, i tassi sono ancora alti ma non più in salita folle, e questo ha dato un po’ di respiro. La Cina, che fino a pochi anni fa era la superstar, oggi mostra delle difficoltà: problemi demografici e tensioni geopolitiche che non si risolvono dall’oggi al domani. L’India invece sembra vivere il momento che la Cina aveva vent’anni fa, con una popolazione giovane e settori tecnologici in grande fermento. L’America Latina continua a essere legata al destino delle materie prime, mentre l'economia africana resta un orizzonte lontano ma inevitabile quando si guarda al futuro.
A volte mi chiedo se abbia senso, per chi come me investe cifre piccole rispetto agli istituzionali, guardare ai mercati emergenti. La risposta a cui arrivo è che sì, un senso ce l’ha, ma non bisogna farsi illusioni. I paesi emergenti possono dare molto ma possono togliere altrettanto, e spesso nel giro di pochi mesi. Sono mercati che amplificano tutto: crescita, entusiasmo, ma anche crolli e paure.
Personalmente li vedo come una scommessa controllata, una parte “satellite” del portafoglio, non certo il cuore. Perché se è vero che offrono diversificazione e possibilità di rendimento, è altrettanto vero che il rischio paese, le valute ballerine e le crisi politiche sono dietro l’angolo, soprattutto in questo periodo del 2025 caratterizzato da molte tensioni politiche, esterne quando si parla di guerre, interne se parliamo di governo. Negli emergenti la volatilità non è un incidente ma la sua peculiarità, d'altronde i loro rendimenti sono beneficiati in parte dal grande rischio associato all'investimento stesso.
Eppure proprio questa imprevedibilità li rende affascinanti. Guardare agli EM è come affacciarsi su un futuro che non è ancora scritto. E per chi studia finanza come me rappresentano un laboratorio vivo, un modo per capire come economia, politica e società si intrecciano davvero.
Alla fine la mia idea è semplice: non credo che i mercati emergenti debbano essere l’unica strada, ma penso che ignorarli significhi perdersi una parte importante del mondo. Il trucco sta nel non farsi accecare dall’entusiasmo e nel ricordarsi che ogni opportunità porta con sé dei rischi reali. E forse è proprio qui che si gioca la partita dell’investitore consapevole: imparare a guardare lontano senza smettere di tenere i piedi per terra.
Per quanto riguarda gli strumenti per investire in EM, sicuramente rimarrei nel campo degli indici con qualche ETF, non credo sia possibile investire in EM in maniera mirata, per adesso lo ritengo troppo rischioso per la mia esperienza.

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